La sala verde del Coni è stata popolata da quasi 200 addetti ai lavori, tra allenatori sia professionisti che dilettanti, dirigenti e soprattutto molti giovani, vista anche la collaborazione con l’Università di Parma che ha proposto ai suoi studenti questa iniziativa come attività didattica elettiva agli studenti di Scienze Motorie, Sport e Salute.

Dopo i saluti del presidente dell’AIAC di Reggio Emilia Corrado Zanichelli, sono seguite le esposizioni dei relatori. Per la parte tecnica ha aperto la serata Fulvio Fiorin (ora metodologo della prima squadra del Milan, dopo 18 stagioni passate nel settore giovanile dove ha vinto 2 scudetti e un’edizione del torneo Viola di Arco di Trento). Il tecnico rossonero ha parlato dell’allenamento “integrale” e del concetto di metodo, sottolineando il fatto che l’allenamento è prima di tutto cognitivo e che l’agonismo nel settore giovanile professionistico e dilettantistico ha le stesse caratteristiche e deve essere formato come mentalità. Su questa linea è seguito l’intervento di Roberto Valmori (l’attuale mister dei giovanissimi del Castelvetro,

ha alle spalle diversi anni di esperienza tra professionisti e dilettanti, oltre ad aver partecipato come docente in numerosi stage d’aggiornamento, corsi per società professionistiche e al corso sperimentale di Pisa nell’ambito del progetto dell’allora Settore Tecnico Roberto Baggio per il rinnovamento dei settori giovanili in Italia). Il tecnico modenese ha dapprima posto l’accento sul fatto che l’allenatore è inserito oggi all’interno di una struttura a 360° e occorre, anziché trovare alibi per “non fare”, costruire progetti comuni, soprattutto all’interno delle proprie società, cercando di risolvere i problemi che si possono avere, per esempio di spazi a disposizione, gestione dei collaboratori e via dicendo. Dopodiché, partendo da un’analisi dei fondamentali tecnici, ha ribadito l’importanza del “saper poi vedere poi il gesto in situazione”. Di concerto con Fiorin, la tecnica si deve legare al pensiero tattico: un giocatore deve saper scegliere, tra i tanti, un determinato gesto tecnico per risolvere una determinata situazione di gioco.

Si è passato dunque alla parte pedagogica e di psicologia dello sport con l’intervento di Caterina Gozzoli (professore associato della facoltà di Psicologia all’Università Cattolica di Brescia, docente di materie psicologiche all’Università Cattolica di Milano, all’Università Cattolica di Brescia e responsabile scientifico del master di secondo livello dell’Alta Scuola Gemelli). La psicologa del Milan, ribadendo l’importanza di un confronto tra gli allenatori e le altre figure che ruotano attorno la costruzione e la valorizzazione di giocatori e talenti, ha focalizzato l’attenzione su “in che modo lo psicologo e la psicologia può aiutare”. Quindi lavoro sulle relazioni di contesto, lavoro sulla generazione di una cultura condivisa del talento e di metodologie coerenti; lavoro sul ruolo cruciale di allenatore; lavoro diretto con i ragazzi (raccordo vita personale e sportiva; prestazione; vita in residence). Ha proseguito il suo discorso sulla formazione di una cultura sportiva Nicola Simonelli (responsabile del Progetto Scuola della Reggiana e collaboratore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano come formatore in ambito socio-educativo e scolastico). Lo psicopedagogista e allenatore reggiano ha parlato di “agonismo formativo per uno sviluppo integrato del giovane atleta”, quindi lo sport come “opportunità per uno sviluppo integrato del giovane” che può passare trasmettendo comportamenti, modelli di comportamento, per creare una libertà responsabile all’interno della quale ogni ragazzo possa sperimentarsi e valorizzare le capacità e le competenze di ogni singolo in un sistema dove trasformare la correzione un intervento educativo e formativo. Fondamentali diventano quindi l’attenzione alla reciprocità, alla complessità, l’educazione al conflitto e alla condivisione.

Ufficio Stampa