Young Stories S1E7
Il racconto del giovanissimo esterno volato dall’altra parte dell’oceano
La scheda di Jacopo Armando Madia
Data di nascita: 12 luglio 2007
Città: Piacenza
Scuola/Squadra: Winston-Salem Christian School
Ruolo: Play-guardia
Il colpo di fulmine con la pallacanestro
«Ho iniziato a giocare a basket all’età di 6 anni, dopo aver provato tanti altri sport. La scelta di provare basket è avvenuta dal fatto che mio papà Fabio, nato e cresciuto a Milano e che ha sempre giocato a calcio, è appassionato di questo magnifico sport ed è un grande tifoso dell’Olimpia Milano, squadra che quando sono in Italia andiamo sempre a seguire nei palazzetti oltre che vederla in televisione. Il colpo di fulmine con la pallacanestro c’è stato quando da piccolo i miei, con mamma Rossana che è piacentina, mi portarono a vedere una partita del Roveleto, che è poi diventata la Bakery Basket Piacenza, società nella quale mi sono formato. E’ stato amore a prima vista e non sono mai più tornato indietro. La Bakery è per me una seconda famiglia; devo tanto a tutti coloro che ne fanno parte: allenatori, dirigenti, compagni e soprattutto a Caterina Zanardi. Se sono qui in America lo devo anche a tutta l’organizzazione societaria».
Dalla Bakery al North Carolina, oltre ogni barriera
«Parlando della presidente Caterina, è anche grazie a lei se sono negli Stati Uniti. Dopo averne provate tante, aver parlato con più agenti e con più agenzie che si occupano di mettere in contatto atleti e scuole americane per permettergli di continuare a giocare ad un alto livello, grazie alla nostra presidente, sono stato messo in contatto con Massimo Raseni. Quest’ultimo si è occupato, assieme all’agenzia Global Horizon, di trovare un programma ad alto livello che mi permettesse di crescere come atleta ma anche come studente. La scelta è ricaduta sulla Winston-Salem Christian School, con sede nell’omonima città di Winston-Salem, North Carolina».
«Il North Carolina è uno degli stati più competitivi degli Stati Uniti per quanto riguarda la pallacanestro, e la nostra scuola, grazie alla dirigenza degli ultimi cinque anni, è diventata anch’essa una realtà tra le più competitive e di conseguenza famose di tutto il paese. Le nazionalità rappresentate sono molte, credo 28, e l’ambiente che si respira è unico. Siamo un centro multietnico dove ragazzi della mia età vivono una quotidianità totalmente diversa dalla loro, proprio perché il fattore multiculturale ci mette di fronte a ‘sfide’ giornaliere, sul campo, sui banchi e nelle relazioni interpersonali, che dobbiamo combattere insieme andando oltre a pregiudizi e barriere culturali inutili».
«Sono partito il 10 agosto e in questi sei mesi ho vissuto esperienze e provato sensazioni ed emozioni che mai avrei pensato di provare un giorno. Sono debitore nei confronti dei miei genitori e della mia famiglia per avermi permesso di realizzare questo sogno, e per credere costantemente in me ogni singolo giorni di questa avventura oltreoceano».
Differenze tra Italia e Stati Uniti nella vita quotidiana…
«Passare dalla vita in Italia a quella negli Stati Uniti è stato un cambiamento radicale. In Italia ero abituato a una quotidianità scandita da ritmi più rilassati, a volte addirittura monotoni, un sistema scolastico che metteva in difficoltà la compatibilità tra sport, vita sociale e appunto studio. C’erano poi molti altri aspetti che non facevano altro che spingermi a voler scommettere su un qualcosa che mi avrebbe cambiato per sempre. Ho proprio sentivo la necessità di cambiare aria».
«In America, invece, la quotidianità è molto più frenetica, tra scuola, allenamenti e partite. Una delle differenze maggiori che ho incontrato è quella riguardante i pasti. In Italia è un momento di condivisione, per molti sacro, mentre negli Usa si tende a mangiare in modo più pratico e veloce, a volte anche da soli o spesso fuori casa. Un’altra grande differenza è il senso di indipendenza: negli Stati Uniti i ragazzi si abituano presto a muoversi autonomamente, spesso in macchina, mentre in Italia la vita sociale è più legata al centro città e agli spostamenti a piedi o in bicicletta. Proprio per questo motivo sono sempre i miei amici a scarrozzarmi in giro».
«Per un ragazzo come me, abituato ad uscire in centro con gli amici nei weekend e fare le tipiche cose che fanno i miei coetanei in Italia, anche il cambiamento nella vita a teenager americano è stato importante. Qui i ragazzi della mia età vivono in maniera molto più semplice, non hanno pretese ne vizi, non si giudicano a vicenda e sono persone molto più genuine e pure. Ho avuto il piacere di apprezzare nuovamente lo stare in casa con gli amici guardando un film o giocando ai giochi di società, piuttosto che andare al bowling o al cinema. Per il tipo di persona che sono, credo mi si addica molto come stile di vita».
…e soprattutto in campo!
«Anche sul campo da basket le differenze sono evidenti. In Italia il gioco è più tattico, con un’enfasi sulla tecnica e sulla costruzione delle azioni. Negli Stati Uniti, invece, il basket è molto più fisico e veloce, con una forte attenzione all’atletismo e alle giocate individuali. Il livello di competizione è altissimo: ci alleniamo ogni giorno, sia sul campo che in palestra, con sessioni di pesi seguite passo dopo passo dallo staff».
«La stagione dura da novembre a febbraio, il che significa che giochiamo quasi un giorno sì e uno no, con pochissimi giorni di recupero. Se non abbiamo partite nel weekend, ci viene comunque programmato un allenamento, quindi il ritmo è sempre altissimo. È un impegno costante, ma è anche il modo migliore per crescere e migliorarsi. All’inizio era tutto molto provante e pativo tanto questo cambio di ritmo, ma con il passare del tempo il mio fisico si è abituato ed ora è parte della mia quotidianità».
«La nostra squadra sta facendo una grande stagione ed è attualmente seconda nella nostra conference. Abbiamo affrontato alcune delle accademie più prestigiose del paese, come Combine Academy da cui è passato Rob Dillingham, 1of1 Academy di proprietà di LaMelo Ball, e Oak Hill Academy in Virginia, una scuola che ha formato leggende Nba come Kevin Durant, Carmelo Anthony e Rajon Rondo. Giocare contro questo livello di competizione è un’esperienza incredibile e un’opportunità unica per migliorarsi ogni giorno. Tra poco inizieremo i playoff e puntiamo alle finali ‘States’ per giocarci, appunto, il titolo statale. Il gruppo è molto unito, sia dentro che fuori dal campo; con la squadra che conta cinque americani, cinque francesi, un australiano e un brasiliano. Ci tenevo poi a sfatare un mito sulle high school americane: non è per niente vero che non si difende. Anzi, soprattutto per quanto riguarda le difese a zona mi sento di dire che in America sono molto più aggressivi rispetto a noi europei!».
L’autentica vita americana
«Parlando invece di come è la mia vita fuori dal campo, devo ammettere che il North Carolina è molto diverso dall’immagine che spesso si ha degli Stati Uniti in Italia. Qui si vive un’America più autentica, legata alle tradizioni e alla comunità. Le persone sono molto accoglienti e c’è un forte senso di appartenenza, sia nella scuola che nei piccoli centri abitati. Rispetto alle grandi metropoli come New York, la vita è più tranquilla, ma non per questo meno interessante. Una delle esperienze più belle è stata il viaggio in Florida per il Thanksgiving day, dove ho avuto modo di vivere questa festività da vicino. Inoltre, ho avuto l’opportunità di visitare Wilmington, una città sulla costa, dove ho potuto staccarmi dalla routine e godermi un po’ di relax. Con la squadra abbiamo invece viaggiato in Virginia, Georgia, e a Charlotte».
Casa, scuola e amici
«Vivo con Dougie, il mio vice allenatore, a casa sua, insieme ad altri due ragazzi: Szymon, un polacco che gioca a basket, e Diego, un brasiliano che gioca a calcio. Fin dall’inizio ci siamo trovati benissimo e abbiamo costruito un legame che sono certo durerà per sempre. Condividere questa esperienza con loro rende tutto ancora più speciale: ci sosteniamo a vicenda, sia dentro che fuori dal campo, e abbiamo creato un vero e proprio senso di famiglia».
«Anche la scuola americana è molto diversa da quella italiana. Il rapporto con i professori è più informale e gli studenti hanno più libertà di scegliere le materie in base ai loro interessi. Si fanno molti lavori di gruppo e puntano molto sulla pratica piuttosto che sulla teoria. Inoltre il coinvolgimento nella vita scolastica è totale: dallo sport ai club, ogni studente ha l’opportunità di sentirsi parte di qualcosa. Anche il modo di fare amicizia è diverso: gli americani sono molto aperti e diretti, ma costruire un legame profondo richiede tempo. Nonostante la distanza, il legame con la mia famiglia e gli amici in Italia rimane fortissimo. Soprattutto con i miei genitori, avendo un rapporto molto forte, ci sentiamo una volta al giorno. Ogni giorno porto con me un pezzo delle mie radici, sapendo che questa esperienza mi sta arricchendo non solo come studente e atleta, ma soprattutto come persona».