Esperienza in Serie A

«L’odio nei confronti delle persone di colore è un cosa culturale. La gente si spaventa quando lo dico, ma è così: quando giocavo in Italia e alcuni tifosi facevano l’imitazione della scimmia, ho capito che trattare male i neri è una cosa culturale. Come trattare male le donne e gli omosessuali. Si tratta di un`abitudine che si radica dentro la tua mente ed è gravissima perché i pensieri razzisti diventano una trappola che “conforma” il tuo immaginario».

Come reagire 

«Non solo chi è vittima di episodi di razzismo, ma soprattutto i suoi compagni di squadra. Dichiararsi neutrali, non schierarsi, è la più grande delle ipocrisie»

La vita prima del grande calcio

«Quando sono arrivato a Bois-Colombes, nella periferia di Parigi, avevo 9 anni. A scuola mi hanno dato dello “sporco negro” e pensarci è ancora uno shock per me. Quando abitavo in Guadalupa non era così: noi bambini giocavamo e basta, senza pensare al colore della pelle».

«È importante capire la storia che si cela dietro al razzismo e gli interessi di chi fa perpetuare questo meccanismo. Io non potrei fare né il politico né l’allenatore, perché la mia missione è quella di combattere il razzismo attraverso l’educazione, penso che sia qualcosa più importante del calcio, che comunque rende la società migliore e dà felicità alla gente. Quando vivi e ami il pallone, prima di essere nero, italiano o francese, ti rendi conto che sia in campo sia fuori, noi siamo esseri umani tutti uguali: facciamo parte della stessa squadra e dobbiamo difenderla».

Sull’inginocchiarsi

«L’odio contro le persone di colore è un fatto culturale. Inginocchiarsi prima delle gare è un gesto potente»

«Quando i giocatori si inginocchiano prima dell’inno o del fischio d’inizio fanno un gesto potente che permette al resto del mondo di capire che sei d’accordo sul denunciare la violenza. Eminem lo ha fatto durante l’halftime show del Super Bowl e sono molto felice che una persona famosa come lui, un bianco, abbia dimostrato che tutti possono denunciare il razzismo. Non bisogna essere di colore per avvertire il problema: possono sentirlo tutti, non c’entra niente il colore della pelle»