Il manipolo di bambini biancorossi che entra in scena al Torneo Pesciolino dell’Elba non è una squadra da rugby champagne, non passa facilmente la palla, non scala come dovrebbe, il “grappolo intasato” sembra essere ancora predominante e le sue ali non disegnano imprevedibili sinuose traiettorie come un filo di fumo che sale in aria. La squadra che si batte nel capo fangoso allentato dalle pioggia del giorno precedente, ha il carattere distin tivo del suo educatore ‘Manone’ Manigrasso che con umiltà ed iperbolica franchezza, confessa ai bambini: “Io faccio il pilone, faccio a testate e questo oggi vi posso insegnare! Entrate in campo: avanzate, difendete, placcate e sostenete!

Prendetevi le vostre responsabilità, nessuno altro può fare quello per cui voi siete chiamati, certo il compagno vi può, anzi vi deve aiutare, ma ognuno di voi faccia quello che gli spetta!”
E i bambini questo fanno: avanzano, si compattano, si arroccano strenuamente e bloccano le sortite avversarie.
E’ una squadra leggera composta più da veloci e leggere gambe che da solidi e impattanti dorsi, ma è una squadra di sacrificio e di umiltà, dove i “senatori” abdicano con serenità alle loro folate sui lati e si inabissano nelle mischie come piloni navigati; sono là a contendere palloni ai più strutturati avversari e ad offrirli ai loro compagni più piccoli nel tentativo di varcare la linea di meta.
Al netto di una, tutte le partite sono combattutissime si giocano in estenuanti maul che avanzano e poi si stoppano; rare su entrambi i fronti, sono le fughe, le galoppate infilzanti; si  arretra e poi si ara il terreno in avanti metro su metro. I corpi si intricano in faticosi raggruppamenti che si dissolvono e poi immediatamente rinascono, i bambini entrano in continuazione in spinta, cadono poi franati dalle moli avversarie e rotolano via e si riparte come in una turbinosa giostra rallentata. Le mete che arrivano sono il frutto di una spinta collettiva senza troppi fronzoli o particolari guizzi individuali.
Ma proprio il gesto di uno dei bambini è forse l’icona di questa avventura elbana.
Nella finalina, dopo essere andati pesantemente e repentinamente sotto di 3 mete, la squadra reagisce rabbiosa e si riporta a ridosso dell’avversario che comincia a temere l’inimm aginabile fino a qualche minuto prima, ha paura di essere raggiunto.
C’è una punizione oltre la linea della metà campo a favore dei bambini gigliati, bisogna ripartire e sarebbe meglio che lo facessero i più grandi in età e in fisico, i più poderosi per tentare di sfondare il vallo avversario e tentare il colpaccio; ma con piglio deciso e per nulla intimorito prende la palla Alberto, fisico più da saltatore in alto che da ball carrier,  gambe sottili da fenicottero e andatura dinoccolata.
Tocca la palla con il piede e si lancia in un feroce cozzo contro la muraglia avversaria, l’urto è forte ma Alberto non cade, non cede la palla, resta in piedi si avvolge come un giunco sull’ovale per proteggerlo dalla tempesta di mani rapaci pronti a carpirlo, riesce a voltarsi verso i compagni accorrenti e dargli il pallone per un nuovo avanzare.
La metà non arriva e il pareggio nemmeno, ma quel gesto è il simbolico sigillo dell’impegno di tutti i bambini che in questa lunga sorprendente trasferta hanno compreso ancor di più la responsabilità verso i compagni, il rispetto della fatica altrui, l’umiltà di essere a disposizione della squadra e la gioia della condivisione.
Una vittoria non da poco!

Vito Maiorano
AEROPORTO FIRENZE RUGBY | Ufficio stampa

Foto: Selvaggio Denti