Nelson, qual è il tuo primo ricordo con un pallone da basket in mano?

“A dire la verità il mio percorso nel mondo del basket è cominciato tardi. Fino al primo superiore giocavo a calcio ed il pallone lo avevo sui piedi più che in mano. Poi, a 14 anni, quando cominciarono i miei problemi col calcio dovuti alla mia altezza, decisi di provare col basket. Ricordo che il primo approccio non fu affatto dei migliori. Quando feci il mio primo tiro da tre punti non arrivai nemmeno a sfiorare il ferro”.

Quando hai capito allora che il basket sarebbe potuto diventare il tuo mestiere?

“La prima volta in cui ho avuto la possibilità di andare a giocare fuori di casa. Avevo più o meno 19 anni quando mi chiamò la Stella Azzurra Roma che faceva la B2 e mi offrì il mio primo contratto. Lì capii che quello sarebbe potuto essere il mio futuro”.

Nelson, ormai da anni per tutti sei l’Ammiraglio, chi ti ha dato questo soprannome?

“Nasce a Barcellona Pozzo di Gotto. Me lo ha dato lo speaker Benedetto Orti Trullo, giornalista ed amico, che era solito affibbiare appellativi a tutti i giocatori. Da quel momento in poi mi è rimasto il nomignolo di Ammiraglio”.

C’è un allenatore che secondo te ha dato qualcosa in più degli altri al tuo percorso di crescita?

“Il primo in assoluto, Maurizio Palanchi che mi ha insegnato i fondamentali. Poi voglio citare senza dubbio Germano D’Arcangeli che è stato il primo con cui ho lavorato da professionista. Infine Luca Banchi nell’anno che abbiamo fatto insieme a Jesi. Lui più degli altri mi ha fatto capire e conoscere meglio il mondo del professionismo a 360°, dentro e fuori dal campo. Quell’anno lì sono davvero migliorato tanto dal punto di vista tecnico e professionale”.

C’è una città a cui ti senti particolarmente legato?

“Senza voler sembrare di parte, Trapani è una città a cui mi sento davvero legatissimo. Qui ho concepito mio figlio. Io e mia moglie lo cercavamo da tantissimo tempo. Questo è il più importante ma sono tanti i motivi per cui questa città mi rimarrà per sempre nel cuore”.

Come è nata la scelta di venire a Trapani?

“Con Francesco (Lima) ce lo stiamo ancora chiedendo… In realtà ho sposato il progetto che si stava cercando di costruire, venivo poi da una stagione non esaltante a Napoli ed avevo bisogno di una città tranquilla che potesse anche permettermi di rilanciarmi. Mai scelta fu più azzeccata”.

Immagina di avere la possibilità di tornare indietro nel tempo, c’è qualcosa che cambieresti o che avresti voluto fare e non hai fatto?

“Sicuramente proverei ad andare in LegaDue prima. E poi avrei fatto l’università. E’ un percorso che, oggi,  mi manca tantissimo e che rimpiango di non aver compiuto”.

Chi è il giocatore più forte con cui o contro cui hai giocato?

“Di giocatori forti ne ho incontrati tanti. Tra tutti senza ombra di dubbio cito Walter Barry e Romain Sato”.

Veniamo al presente. Squadra ed allenatore nuovi, categoria nuova ma i risultati sono più che positivi. Qual è il segreto?

“Il segreto è che stiamo tutti molto bene insieme. Aldilà di qualche piccolo momento di crisi, siamo uniti e compatti, lavoriamo tutti sodo e senza individualismi, con l’unico scopo di fare il bene della Pallacanestro Trapani”.

Qual è la differenza più evidente che hai riscontrato tra B2 e Lega Gold?

“Sicuramente il ritmo ed il livello fisico e tecnico che mediamente tutte le squadre riescono a mettere in campo”.

Umanamente: un pregio ed un difetto di Nelson Rizzitiello?

“Per pregi e difetti parlate con mia moglie (ride)”.

In conclusione, raccontaci un retroscena da spogliatoio.

“Sono contento che tu me lo abbia chiesto. Colgo l’occasione per invitare appassionati e tifosi a donare un euro per il ginocchio di Ale Tabbi. Abbiamo posizionato un salvadanaio nel suo angolo dello spogliatoio e già tutta la squadra ha contribuito al “Telethon Tabbi” (ride)”.

Ufficio Stampa Pallacanestro Trapani