Chi si ricorda “dov’era” l’ippodromo di Torino ha fatalmente i capelli bianchi.

Era un impianto che appartiene ad una storia di ieri proprio diversa. E’ ricordo di un secolo fa, il che oggi si legge come un altro mondo.

Costruito nel 1906, la grande pista con le sue scuderie di legno troneggiava nel piazzale che oggi è parcheggio prezioso, di fronte alla Fiat Mirafiori. Ed era splendidamente artigianale ma importante, perchè era di fronte “alla fabbrica” (per antonomasia, la Fiat è sempre stata il numero uno, il riferimento, la prima identità della città). Ed aveva il nome di Mirafiori. Motivo per cui era un punto di riferimento prezioso e basilare.

Il ricordo di quei tempi si stempera per forza di cose nella memoria di chi scrive che giovane non è più. Gli attuali “terminali del totalizzatore” erano in realtà dei chiodi appesi ad una parete di legno che raccoglievano le bollette del vincitore, del piazzato, dell’accoppiata e della duplice accoppiata. Ad ogni puntata ecco uno strappo ed una ricevuta, con numeri crescenti, il che consentiva al giocatore di capire se quella tal decisione era stata appoggiata o meno. Già allora c’erano i giocatori di ruolo, quelli che leggono le corse per via dei numeri e non per via dei cavalli. E così ecco la caccia ai “numeri zero”, a quelle scommesse che non erano state appoggiate e che in caso di arrivo, avrebbero pagato una cifra importante. Non appena la corsa si esauriva, ecco il riassunto delle scommesse, di box in box, trasmesso all’amministrazione dove si calcolavano l’incasso e i vincitori, e dopo tanti minuti, ecco la vincita, detta “già” all’altoparlante. C’erano nomi altisonanti, tra tutti uno è rimasto nella mente, Agamennone. Il pubblico era di livello e lo spettacolo ippico cresceva di interesse e di volumi, al pari della Fiat che spingeva su quei chilometri quadrati con il proprio desiderio di inserire i propri cavalli motore.

Così, storia del 1960-61, a cavallo dei festeggiamenti del centenario dell’unità d’Italia ed a fronte di un radicale mutamento del volto della città (cose avveniristiche un po’ ovunque: il cinerama e la rotaia sopraelevata in corso Unità d’Italia, la zona cover del progresso che avrebbe aggredito in modo prezioso il domani di questa laboriosa metropoli) si decise che l’ippodromo nel suo divenire avrebbe dovuto avere altri spazi, e così pure la Fiat.

E le piste del galoppo, Federico Tesio, e del trotto, divenuto “Stupinigi” trovarono nuova e complessa collocazione in quel di Vinovo, sotto il convinto incedere imprenditoriale dell’avvocato Carlo Marangoni (ecco svelato chi è il titolare del Gran Premio che si corre domenica 4 settembre: è un innovatore), dell’avvocato Guido Bianchetti e del dottor Emanuele Nasi. A 22 chilometri dal centro della città – 50 anni fa – si era in provincia estrema, ed andare al galoppo ed al trotto era una sorta di viaggio. Ma il regno del cavallo è sempre stato un’avventura ed una conquista: e quella decisione, in ultima analisi, è stata lungimirante e felice.

Nel 1977 poi la mossa imprenditoriale che lega idealmente il passato al presente, la cessione cioè delle strutture ippiche di Vinovo dall’I.F.I. (nello specifico, della SAI) alla Società Torinese Corse Cavalli e conseguentemente a HippoGroup, con la firma certa del conte Guido Melzi d’Eril che da allora è stato l’uomo di riferimento, l’appassionato condottiero, l’imprenditore che ha dato a Torino ed all’ippica italiana tutta la propria cultura e la propria passione. Di quel coraggioso investimento si è perso nel tempo un elemento, il galoppo, decisione che – se in quel momento provocò la smorfia di chi difende i valori della propria terra – nell’oggi dell’ippica suona come sensata e logica. L’impianto del galoppo è stato infatti ceduto alla Juventus che vi ha costruito sopra il proprio Training Center. E negli infiniti ettari tuttora inutilizzati sta per nascere una mastodontica shop-ville.

Resta, solido e presente, sempre più cover di un’ippica piemontese che suona come scudiera di spessa qualità, l’Ippodromo del trotto a Vinovo, bello e colorato, curato e coraggioso. E in questa location che l’ippica torinese fa festa: e pur considerando che il momento generale dell’ippica è tutt’altro che agevole, è legittimo sottolineare che Torino, con il suo impegno garantito, suona come vera e propria “linea maginot” di un esercizio imprenditoriale che ha diritto di pensare a tanti anni ancora, ai prossimi cinquant’anni che verranno.

 

Mario Bruno